Un passo.
Un fruscio, stoffa. La mia veste nera come la notte, nera come il mio cuore.
Un passo ancora.
Foglie secche, alberi. La foresta che costeggia il castello.
Allungo una mano nel vuoto fino a trovare un contatto, la corteccia rugosa di un albero.
Se il vento non soffiasse in questo modo fra le fronde sentirei la linfa che ne scorre all'interno.
Esso mi porta profumi, odori. Sangue raffermo... Profumo di morte. Presenze malvagie, lontane. Tuttavia non percepisco pericoli intorno a me.
Profumo di acqua salmastra, il fiume non troppo lontano da qui.
La mia lingua contro il palato poi inumidisco le labbra. Sapore di polline, fiori.
Li raggiungo lentamente, non vi è alcuna fretta.
Non ho mai avuto fretta.
Sistemo la mia veste e mi inginocchio in religioso silenzio fra i fiori. Giunchi. Non posso sbagliare, vicino alla riva, mossi dalla brezza.
Godo del paesaggio, che i miei sensi offrono, di questo luogo a me ancora sconosciuto.
Scosto la ciocca di capelli che mi ricade sul viso, pizzica, mi infastidisce. Le dita passano sulla cicatrice fugacemente e, fuggo da quel contatto. Ripongo bruscamente le mani sul grembo, incrocio le dita tra le loro in una treccia di sangue pulsante sotto strati di pelle liscia.
Ora attendo.
Non importa dove si poseranno i miei occhi vuoti.
Dopo molti secoli la vista, per me, è del tutto trascurabile.......
In omne aevum,
Psiche