The Return Incidents, Topic di Scrittura

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• Mirage
view post Posted on 22/5/2012, 19:10 by: • Mirage
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"Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.

Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.



Caldo, caldo soffocante. Urla indistinte provenivano da ogni direzione, destra, sinistra, dal basso, dall'altro, non faceva differenza. Per un momento credette di essere nel mezzo di una folla inferocita: qualcuno urlava, qualcun'altro piangeva, qualcuno ancora sembrava supplicare, qualcuno addirittura minacciava. Non avevano ancora capito che non potevano fare niente per tornare indietro? Lei invece si, le bastarono infatti pochi secondi per capire dove era finita, che posto era quello.

Aprì finalmente gl'occhi, le urla si zittirono, e, per un momento, dovette ricredersi. Da quando in qua all'inferno c'era il sole? Si accorse che i piedi, nudi, poggiavano su un tappeto d'erba che morbido era dir poco e che pareva distendersi fino a perdita d'occhio. Dove diavolo -era il caso di dirlo- era finita? Per qualche istante pensò addirittura che ci fosse stato un'errore allo smistamento. La sua anima in paradiso? Che barzelletta era mai quella? Il solo fatto che per nutrirsi doveva uccidere le aveva per sempre negato quel posto da quando era poco più alta di un folletto! Ad un'occhiata più accurata, però, si accorse che il caldo torrido era ancora presente, infatti l'aria davanti a lei tremolava, come se sotto quel prato infinito ci fosse dell'acqua bollente.. O forse lava, o sangue, chissà.
Decise di avanzare, stare ferma li non l'avrebbe riportata dall'uomo che le sembrava di aver già lasciato da un'eternità. Quanto tempo era passato? Non poteva dirlo con certezza, poteva essere un secondo come un'ora o un giorno, comunque un tempo già troppo grande. Si sentiva vuota e, soprattutto, in colpa per aver infranto una promessa: lo aveva lasciato e non poteva perdonarselo, la sola idea di averlo fatto soffrire la distruggeva più della morte stessa. Doveva tornare indietro e, a costo di scalare l'inferno fino all'uscita, ce l'avrebbe fatta.
Camminando, si accorse che il prato iniziava a scendere, con una pendenza sempre più ripida, tanto che si trovò a doversi aggrappare con le mani a quell'erba soffice per non rischiare di ruzzolare chissà fino dove. Forse qui i pensieri venivano resi realtà e la sua idea di scalare l'inferno era stata resa reale. Simpatici, questi demoni, davvero.
Continuò per quello che le sembrò un tempo infinito: in poco tempo si ritrovò sudata, sporca di terra e con fili d'erba tra i capelli, una modella degna di una rivista patinata. Avrebbe voluto avere davanti quello che ha detto "la morte ti fa bella".. Col cavolo!
Dal nulla il caldo aumentò, così come la ripidità di quel prato che, ormai, era diventato una parete.. Si inclinava sempre di più, fino a non lasciarle alcuna presa: cadde in quello che alla fine era davvero un fiume di sangue in ebollizione. Chiuse gl'occhi, incapace anche di urlare, e quando ormai si aspettava l'impatto con il liquido bollente, sentì invece qualcosa di freddo e duro sotto la guancia. Rialzandosi, capì di essere finita dal nulla in un corridoio di pietra. Cosa stava succedendo? Qualcuno si stava probabilmente divertendo a farla impazzire, scaraventandola da un posto all'altro senza darle pace, senza farle trovare la via d'uscita. Ma quel corridoio aveva qualcosa di familiare e le bastarono pochi sguardi per riconoscerlo. Si trovava nel castello delle Dee e quel corridoio in particolare portava alla stanza di Dagon. Era stato lui a portarla fino li? La stava aiutando a raggiungerlo? Scosse la testa, ignorando le mille domande che le si accavallavano nella mente per proseguire senza indugiare troppo. Arrivò davanti alla porta tirando un sospiro di sollievo, era proprio la porta che ricordava e poteva sentire l'odore del suo uomo come se fosse li accanto a lei. Abbassò più volte la maniglia, ma la porta non si apriva. Per poco non morì una seconda volta quando una figura dai lunghi capelli candidi le comparì vicino, spaventandola. Il primo impulso fu quello di farle del male.. Una donna davanti alla camera di suo marito? Doveva avere davvero un motivo valido per trovarsi li, ma prima che Ginevra potesse soltando aprire bocca la donna scosse la testa, sorridendole e indicandole di nuovo la maniglia. Non poteva entrare? Dagon non era in camera? E questa cosa ne sapeva dei movimenti di SUO marito? Aprì di nuovo la bocca per protestare, ma la donna sorrise di nuovo e le fece segno di aspettare prima di entrare. La indicò, facendole notare quanto fosse in pessime condizioni e per un attimo si vergognò di presentarsi così, quando la donna che aveva davanti non era solo bellissima, era anche perfetta e pulita. Senza dire una parola, le porse il vestito che le era apparso dal nulla tra le mani. Ginevra lo prese, esaminandolo. Era lungo, di un tessuto nero talmente morbido e leggero che scivolava tra le dita. Glielo mostrò da ogni lato, poi la invitò a indossarlo. Accettò, un vestito non poteva farle male e poi, almeno, si sarebbe fatta trovare in condizioni decenti. Si accorse subito che non era un vestito qualunque.. Sembrava.. Da cerimonia. I suoi dubbi vennero confermati dal secondo regalo della fanciulla: le pose in capo quello che non poteva essere nient'altro che un velo da sposa,nero anch'esso, incorniciato sul capo da una corona di rose nere.. Con tanto di spine, che le si conficcarono nelle tempie, facendole scorrere rivoletti di sangue sul viso. La ragazza non sembrava preoccupata di averla appena incoronata col sangue e quel dolore, per Ginevra, non era nemmeno paragonabile a quello atroce che aveva sentito quando le avevano sparato, per cui non ci badò, anzi, ringraziò silenziosamente la ragazza che finalmente le fece un cenno di assenso verso la porta. Posò la mano sulla maniglia, ora titubante, e questa si aprì subito, rivelandole finalmente ciò che sperava.. Dagon. Era in piedi, davanti a lei, esattamente come se lo ricordava, vestito come la prima sera che uscirono insieme, elegante e tremendatamente sensuale. Rischiava di perdere già l'uso delle gambe perchè avevano iniziato a tremarle al solo vederlo. Lo raggiunse, poi aspettò a qualche passo da lui. Dagon -perchè era sicura fosse lui davvero e che tutto quello che era successo finora fosse solo un qualche brutto scherzo- coprì la distanza che li separava, mostrandole cosa teneva in mano, cosa aveva in serbo per lei. Il suo cuore, proprio come se lo ricordava, fresco, adagiato su quel cuscino scuro come il più prezioso dei gioielli. Le lacrime iniziavano già a rigarle gl'occhi per la felicità di rivedere di nuovo il suo cuore, quando Dagon, guardandola con odio e rabbia, prese un coltello e lo taglio nel centro esatto, facendolo rovinare a terra in due metà perfette. Non meritava il suo cuore, non meritava il suo amore, non meritava di sposarlo. Era questo che le stava dicendo mentre continuava a guardarla come se fosse la peggiore delle creature esistenti. Nemmeno si accorse che dal cuore iniziò a uscire del sangue, prima a gocce, poi a fiotti, fino a diventare un fiume in piena che la travolse, inghiottendola nel suo corso mortale. Riemerse poco dopo, tossendo e aggrappandosi.. Alla riva. Alzò lo sguardo. Londra. In realtà era ancora all'inferno, lo capiva bene dalla temperatura e dal quel vago sentore sinistro che solo una tortura infernale poteva imprimere su ogni cosa. Si trovava su una delle rive del Tamigi di questa Londra infernale, a poca distanza da un ponte. Dal ponte. Un altro di quei ricordi che non avrebbero mai potuto cancellarle. E infatti, su quel ponte, appoggiato al bordo murato come se niente fosse, c'era di nuovo Dagon. Bello, possente, noncurante degli sguardi che attirava su di sè. Solo. Aspettava lei? Se lo augurò, perchè la solo vista dell'uomo che amava la spronò a farsi forza, a uscire da quel finto fiume terreno e a issarsi sulla riva, strappando la parte finale del lungo vestito, ormai ridotto male dalla corrente.
Lo aveva perso di vista un secondo, e in quell'unico battito di ciglia tutto era cambiato. Dagon non era più solo. Con lui c'era sua madre. Sua cugina. Sua zia. Le sue amiche. Era circondato da donne che conosceva e non solo, anche elfe di cui si ricordava a malapena di aver visto al villaggio o umane intraviste per le strade di Londra. Ed erano tutte addosso a suo marito. Sembravano degli avvoltoi su una carogna o peggio ancora delle tigri affamate addosso alla preda. Se lo contendevano, le vedeva sbracciarsi, farsi largo a spintoni, prendersi per i capelli le une con altre pur di riuscire ad avvicinare Dagon e toccarlo e, chi ci riusciva, lo facevo in un modo talmente lascivo da darle la nausea. Vedere quelle espressioni soddisfatte e maliziose sulle donne che lei stessa amava le dava il voltastomaco. Ma la cosa peggiore di tutte era il volto di Dagon, un dio radioso in mezzo a una folla adorante. E ne era soddisfatto, aveva perso tutto l'interesse che poteva avere per lei, era concentrato su quel branco disarmante di donne che lo venerava. Si girò, la guardò, e sogghigno. Povera stupida Ginevra, cosa pensava, che aspettasse lei? Glielo aveva detto, vero, che se non tornava da lui sarebbe finito in pasto a qualcun altra? E lei aveva perso tempo, si era sicuramente persa per qualche fottuto corridoio infernale, finendo nelle mani di qualche torturatore che ora giocava con la sua anima, trattenendola lontana da lui. Urlò, come non aveva mai urlato, facendo sembrare un gridolino confuso e insignificante quello che aveva emesso quando le spararono. La sentirono anche le donne, che, furiose per la sua intromissione, si tramutarono in un branco di bestie feroci che scattarono, scavalcando il ponte come se nulla fosse, e le arrivarono addosso, in massa, dilaniandole le carni.
Poi tutto diventò buio, e il paesaggio cambiò ancora una volta.
Era quasi sicura di essere tornata a casa, sull'isola, ma le solite impronte infernali le dicevano il contrario, era ancora morta, era ancora un'anima nelle mani di qualcuno che si divertiva a farla girovagare senza meta. Forse avevano capito che, come aveva messo piede all'inferno, voleva già andarsene e cercavano di trattenerla il più possibile.
Si trovava su una strada, ciottoli, sembrava uno dei sentieri qualunque che portavano al villaggio. Lo imboccò, sicura, camminando per un tempo indefinito prima che il paesaggio iniziasse a cambiare. La strada, infatti, finalmente si arrestò, dividendosi in due. Era arrivata a un bivio. Guardò a sinistra: Adam. Corresse subito il suo pensiero, un angelo. Non lo aveva mai visto così.. Angelico. Un enorme paio di ali bianche spiccava dalla sua schiena, nascondendo un po' la luce celeste che lo incorniciava.
Guardò a destra: Dagon. Splendido nei suoi vestiti scuri, lo sguardo profondo, penetrante, misterioro. Erano entrambi rivolti verso di lei. Ma non capiva il perchè di quella situazione. Questa scelta l'aveva fatta molto tempo fa e, anche ora, iniziò a camminare sicura verso destra, diretta verso il suo uomo. Poi si fermò, osservando la scena incredula. Da dietro le gambe di Dagon spuntò un bambino, una copia in miniatura del demone. Capelli scuri, occhi grigi, chiarissimi come un vetro che rifletteva uno specchio d'acqua, e misteriosi, come quelli del padre. Avevano un figlio? Quella pallattola doveva averle fatto davvero male per farla dimenticare di qualcosa di simile. Guardò meglio quel bambino e, pian piano, capì che non era loro figlio. Almeno, non suo, perchè nei suoi tratti non c'era niente di lei. Infatti, affianco a Dagon, c'era una donna. Un'altra donna. Avvolse la vita del demone con un braccio per stringerselo vicino, come era solita fare lei quando passeggiavano, passando una mano sulla testa del bambino, scompigliando i capelli scuri del ragazzino, che rise per quel gesto affettuoso. E Dagon guardava entrambi con quello sguardo, quello sguardo che aveva promesso solo a lei, quello sguardo che la faceva sentire amata, speciale come niente al mondo. Quello sguardo che la faceva sentire sua.
C'era un filo, rosso, era sicura che per gl'altri fosse invisibile, ma lei lo vedeva: collegava lei e il demone. Poteva dire con sicurezza che era color rosso amore. Quel colore forse non esisteva, ma lei era certa di quella tonalità.
Poi il filo si spezzò.
Incredula spostò lo sguardo verso sinistra: l'angelo osservava la famiglia con disappunto, dispiacere e rammarico. Sembrava così sinceramente coltò di sospresa quanto lei che, per un momento, Ginevra pensò che tutto quello stava succedendo veramente, perchè sentì il cuore frantumarsi e andare in mille pezzi come riposò lo sguardo su quella famiglia in cui lei non c'entrava niente. L'angelo le venne vicino e, per una volta, quella figura celeste non le procurò alcun dolore, ma solo pace. Voleva aiutarla, capì. Per cercare di farla sorridere, le fece un regalo: le porse un ciondolo, che riconobbe come il ciondolo della morte che, una volta, aveva rischiato di uccidere lo stesso angelo che aveva davanti.
Non capì quel gesto, non capì l'avvicinarsi di Dagon. Adam si allontanò, tornando dov'era quando era arrivata, da una parte del bivio. Rimaneva solo il demone davanti a lei, la donna e il bambino spariti. La guardò a lungo. Lei abbassò lo sguardo, il ciondolo cadeva in mezzo ai seni, leggermente spostato verso sinistra, all'altezza del cuore, dove il vestito da sposa ormai sgualcito lasciava intravedere la pelle, bianca e cadaverica. Il demone presa la mira. Alzò di nuovo lo sguardo, incrociando quello di Dagon. Poi lui sparò e lei cadde all'indietro, in una voragine scura che si era aperta alle sue spalle.
C'era un secondo filo, questa volta argenteo; ne seguì il corso, come a rallentatore, mentre cadeva. Univa lei e quell'angelo ormai lontano. Anche il secondo filo si spezzò e l'angelo prese il volo.
Dagon rimase a guardarla cadere, sempre più a fondo, sul baratro di quell'infinito burrone, circondato da tutte quelle donne che l'avevano perseguitata fino adesso. Ridevano, ridevano tutti, perchè lei aveva fatto tardi e aveva perso.

In qualsiasi posto finirai, voglio che tu combatta per tornare indietro. Ascoltami, Ginevra.. devi ricordarti quello che ti sto dicendo, non vuoi lasciarmi nelle mani di altre donne, vero?

No che non voleva, nessuna doveva toccare il suo uomo. Era di nuovo finita stesa a terra, contro un pavimento freddo, a dispetto della temperatura calda dell'aria. Questa volta si rese conto di essere in un posto reale. Era un'anima all'inferno, un'anima dell'inferno.

Io sono tuo, mi hai sposato. Non lasciarmi andare, ti prego..

No, era un'anima e apparteneva a una sola persona. Non potevano trattenerla ancora, non contro il suo volere, non quando voleva ancora lottare per ritornare da lui.. Potevano torturarla una vita intera facendole credere quello che volevano, non avrebbe ceduto.

DAGON!



Una sola parola, un urlo prolungato mentre correva per quei corridoi. Doveva andarsene da li e tornare da lui.

Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense".
Queste parole da lor ci fuor porte.

Inferno, canto V [Paolo e Francesca]



Anima di Ginevra, Inferno, oggi
 
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1701 replies since 26/1/2009, 01:11   41242 views
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