The Return Incidents, Topic di Scrittura

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• Mirage
view post Posted on 7/4/2012, 17:04 by: • Mirage
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Oggi, foresta comune, Casa sull'albero, tramonto

"Faremo i conti più tardi io e te, vai a strafogarti di eucalipto, con la pancia piena sarai una preda più facile!"
Nemmeno se quello fosse stato un nemico vero, la vampira guardò il koala con aria di sfida, muovendo addirittura la mano come a dire che non doveva ancora cantare vittoria, nonostante fossero 1 a 0 per Hector. L'animale l'aveva avuta vinta poco prima in un battibecco riguardo al rifarsi le unghie sulla ringhiera della terrazzina davanti alla casa.
Ok, ora stava sfidando un koala. Stava parlando con lui come se fosse un nemico giurato, ci mancava soltanto gli tirasse uno schiaffo con il guanto e lo sfidasse a singolar tenzone. Dagon aveva ragione, quella non era lei. Si chiese se non stesse iniziando seriamente a impazzire, forse il prossimo passo era iniziare a parlare da sole, era sicuramente peggio farsi domande e anche rispondersi ad alta voce da sole che prendere seriamente un duello con un koala.
Si appoggiò al legno del davanzale esterno, chiudendo gl'occhi e prendendo un bel respiro profondo. Rimase in quella posizione qualche momento, cercando di capire cosa c'era che non andava in lei da un po' di giorni. Già, cosa le stava capitando? Le parole del demone, la sera prima, l'avevano fatta sinceramente riflettere e, forse, era giunta a una conclusione. Aveva iniziato ad andare in corto circuito in un istante ben preciso, ovvero quando aveva visto Dagon ricoperto di sangue e lividi e, dietro tutto quel caos di ferite, il suo sguardo. Poteva ancora vederlo davanti a sè se solo si concentrava un po': occhi grigi e arrabbiati, accesi d'argento in netto contrasto col rosso scuro del sangue. Aveva avuto paura, paura per lui, paura di lui. E la sua reazione era stata la più stupida che potesse mai avere, cercare di rigirare la situazione in modo da sembrare lei quella colpita. Dio, che idiota. Lo aveva sempre fatto quando si sentiva attaccata, attaccava a sua volta per difendersi, quando sarebbe bastata una semplice parola, un semplice scusa, un mi dispiace sentito. Non aveva ancora imparato a gestire bene tutte queste senzazioni così forti che provava da quando aveva scoperto quanto era intenso amare qualcuno e, se è vero che sbagliando si impara, si era ripromessa di non voler mai più vedere quello sguardo negl'occhi dell'uomo a cui era -letteralmente- legata.
Il senso di colpa era ancora li, lo sentiva stretto addosso come un cappotto e si rese conto che era stato quello a renderla così.. Diversa. Non sapeva nemmeno come descriverlo, se non come un peso opprimente contro il cuore che le faceva dolere ogni muscolo, ogni fibra, ogni vena, tanto da non riuscire a ragionare lucidamente. O forse era proprio il contrario, la faceva ragionare anche troppo. Doveva essere questo l'effetto del senso di colpa: se prima davanti a un problema reagiva d'istinto, ora ci pensava non una, ma mille volte. E ogni volta che un pensiero nuovo si affacciava nella sua mente, il problema si ingrandiva e non riusciva più a districarsi da quella fitta rete di pensieri confusi, perdendo ciò che l'aveva sempre distinta, il buttarsi di testa in qualsiasi situazione senza pensare a tanti se e a tanti ma, solo a quello che la rendeva veramente felice. Dio, aveva affrontato un lycan solo per poter restituire una spada ad un'amica! Si era buttata da un'altezza assurda con una spalla fratturata solo per poter stare tra le braccia di Dagon! Se n'era infischiata delle raccomandazioni, sempre, per avere quel che desiderava e ora, invece, era lei a farle a sè stessa, nonostante il sangue che le usciva copioso dal taglio sul palmo della mano le ricordasse ogni secondo quanto Dagon soffrisse a non averla e quanto lei stessa desiderasse lui sopra ogni rassicurazione. Doveva tornare lei.. Col suo caratteraccio imprevedibile e a volte odioso, è vero, ma pur sempre lei, la ragazza di cui il demone si era innamorato e che sentiva esserci ancora da qualche parte, sotto a tutto quel peso, dentro il suo cuore.
Sbattè le palpebre un paio di volte, le pupille di adeguarono alla luce sempre più calante della sera e, attraverso il vetro, osservò Dagon riposare. Non aveva un cuore umano, ma poteva percepire il ritmico e lontano ticchettio di quello di metallo del demone. Sentiva lo scorrere lento del sangue nelle sue vene e il dolce respiro che gli faceva alzare e abbassare il petto, come un'onda lontana. Seppure riposasse poteva scorgere quel cipiglio serio sul suo viso, era stufo di doversene stare fermo a letto e non poteva di certo biasimarlo.
Aveva bisogno di lui e lui aveva bisogno che lei glielo dimostrasse. Ma prima di tutto aveva bisogno di dimostrare a sè stessa che poteva ancora agire d'istinto, poteva ancora fare qualcosa che agl'occhi di qualcuno poteva sembrare solo stupido, ma, ai suoi, era un gesto sentito per provare che era ancora Ginevra e che, soprattutto, non si sarebbe arresa.
Si staccò svelta e silenziosa dalla finestra, entrando in casa solo per recuperare la sua borsa di pelle nera e riportarla fuori con sè. Era il momento ideale per fare quell'incantesimo, il tramonto. Il sole, la luce, se ne andava per lasciare spazio alla notte, il buio. Bè, lei non stava per fare lo stesso? Non stava per calare il buio sui suoi occhi dopo tanta luce? Non sarebbe proprio diventata cieca, ma quasi. Si sedette con la schiena appoggiata contro alla parete di legno, le gambe incrociate. Dispose due candele davanti a sè, rosse, di un rosso talmente scuro da sembrare nero e le accesse con una parola sussurrata a fior di labbra in una lingua sconosciuta ormai da secoli, per non dire millenni. Prese dalla sua borsa vari oggetti che dispose in grembo e, pian piano iniziò a cantilenare una lenta nenia che sembrava provenire dal più remoto abisso del mare, tanto suonava antica e struggente. Mentre quelle parole legavano la sua vista alla sola figura del demone, da una delle bende che teneva in grembo staccò quello che era niente meno che sangue raggrumato di una delle ferite del demone, almeno era stato facile recuperarlo senza doverlo in qualche modo rubare a Dagon stesso, e lasciò che questo cadesse sulla prima fiamma. Quando ebbe fatto lo stesso col suo sangue, lasciando gocciolare la sua mano sopra la seconda candela, entrambe le fiamme parvero crescere fino a formare un luminoso cerchio di fuoco che inglobava entrambe le candele. Prese l'ultimo oggetto che aveva in grembo, un rubino e, con l'aiuto della telecinesi, lo mandò in mille irrecuperabili pezzi. Portò la mano piena di finissima polvere rossa vicino alla bocca e, con un'ultima parola, soffiò quello che restava del minerale nel mezzo del cerchio di fuoco. Seppe che l'incantesimo aveva funzionato nello stesso istante in cui si alzò un vento fortissimo che, oltre a spettinarle i capelli, spense il fuoco, non lasciando più traccia nè delle fiamme nè del rubino. Il vento, così come era arrivato, cessò dopo pochi secondi. Si sentiva stanca, fisicamente, ma rinvigorita e pronta a dimostrare a lei e a Dagon che era tornata e che ora si sarebbe meritata di nuovo la sua fiducia.
Si rialzò perchè voleva assicurarsi di aver davvero perso la vista o almeno, parte di essa. Perchè vedeva ancora tutto attorno a sè, la casa, gli alberi, persino Hector che dal ramo sopra la sua testa si era goduto tutto lo spettacolo e che, come se avesse capito, le lanciò una foglia di eucalipto in segno di approvazione. Scese la passerella, restando a terra in silenzio alcuni minuti. Lei stessa sapeva rendersi invisibile agl'occhi degl'altri e lo fece, ascoltando i passi di una creatura in avvicinamento. Nello stesso istante in cui questa la sfiorò col suo profumo, capì di averla vicino, ma non la vide. Sentiva il battito del suo cuore, il rumore del suo respiro e dei piedi, che avrebbe detto scalzi, sul terreno erboso. Poteva quasi dire con certezza che aveva dei lungi capelli ricci solo per come l'aria si muoveva diversa intorno a lei e che, probabilmente, non era nemmeno un elfa pura, ma era sicura fosse una donna. Poteva dire tutte queste cose grazie ai suoi sensi vampirici, poteva addirittura ascoltarne i pensieri grazie alla telepatia, ma non poteva osservarla con gl'occhi come avrebbe potuto fare solo poco fa.
Lasciò che la creatura se ne andasse, ignara di essere appena passata a fianco di una vampira, tornando visibile solo quando il profumo di quell'elfa era solo una scia lontana. Rapida risalì fino in casa, rimettendo in ordine la borsa e le candele come fossero sempre state li e, osservando dalla finestra Hector che pacifico sgranocchiava la sua cena sul ramo, si strinse sopra il vestito la camicia del demone che si era appena infilata, appoggiandosi alla parete, rivolta verso Dagon, in attesa che, aprendo gl'occhi, notasse che sul suo viso c'era di nuovo il sorriso furbo e sicuro di chi aveva appena ottenuto qualcosa.

Ginevra {e Hector}
 
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